Cos’è di preciso una trasformazione digitale e come guidarla con successo? Dietro a questo concetto c’è un processo di analisi profonda dell’organizzazione: in che modo si evolvono i modi di lavorare, pur restando fedeli alla propria missione? Come si integrano nuovi strumenti, adattandosi alle tecnologie emergenti? Il punto è bilanciare la visione strategica con il controllo dei dettagli operativi. Non deve sorprendere che molte imprese incontrino resistenze interne, difficoltà tecniche e culturali. Riuscire a variare senza perdere l’identità richiede tempo, coordinamento tra reparti e capacità di anticipare scenari futuri.

Una trasformazione digitale non significa soltanto mettere in campo AI, sistemi cloud o analisi dati. Comporta ripensare i flussi di lavoro, ridefinire il valore offerto ai clienti e rivedere i processi interni. Occorre cambiare mentalità, favorendo un approccio flessibile e collaborativo. E, al contempo, gestire l’impatto sui team, assicurandosi che ciascuno comprenda perché il cambiamento serve e quali benefici concreti può portare all’impresa.

Il ritmo dell’innovazione non accenna a rallentare. Ciò che ieri appariva sorprendente diventa standard oggi. Per questo motivo, sviluppare una capacità di mutamento continuo è fondamentale: la trasformazione digitale diventa un’abitudine organizzativa da mantenere attiva, piuttosto che un progetto con una data di scadenza.

Come affrontare, dunque, questa sfida? Un buon punto di partenza consiste nello studiare esperienze di aziende già impegnate su questa via e imparare dai loro successi e insuccessi.

Quando ChatGPT è arrivato sul mercato a fine 2022, molte imprese hanno adottato un atteggiamento attendista, perché generative AI era un territorio in gran parte sconosciuto e carico di rischi. Moody’s, invece, ha scelto di scommettere sin da subito sulla nuova tecnologia, ritenendo più grave l’inazione. Concentrare le energie sull’analisi del potenziale offerto da AI generativa, piuttosto che aspettare che concorrenti sperimentassero al posto suo, è stato il principio che ha guidato la direzione della storica istituzione finanziaria.

«Diversamente dalla maggior parte delle trasformazioni, l’obiettivo finale di questa iniziativa non era chiaro,» scrive Toby E. Stuart, della Haas School of Business dell’Università di Berkeley. «La tecnologia si stava evolvendo in maniera incredibilmente rapida e non c’erano dimostrazioni pratiche di come potesse essere applicata per creare valore. Non avendo un obiettivo finale definito, il gruppo si è però concentrato sull’evoluzione culturale necessaria.

Pur senza sapere esattamente come sarebbe finita, il management ha puntato su un cambiamento culturale capace di valorizzare la tecnologia in evoluzione. Hanno definito tre linee guida: coinvolgere ogni ruolo aziendale (14.000 persone), stimolare i team legali, di compliance e rischi a rispondere con un atteggiamento “sì, e…”, e accertarsi che ogni progetto generasse risultati misurabili. In questo modo anche le funzioni più cautelative sono state incentivate ad esplorare applicazioni dell’AI.

Come dimostra Darius Adamczyk, allora CEO di Honeywell, l’azienda all’inizio si trovava con oltre 150 sistemi ERP, circa 2.700 applicazioni, 1.700 siti web e nessuna strategia comune per raccogliere e utilizzare i dati. Questo panorama frammentato acutizzava le divisioni interne e limitava la possibilità di offrire valore aggiunto ai clienti.

Il punto era duplice: la complessità tecnologica irrigidiva i singoli settori e la carenza di dati strutturati frenava l’innovazione. «Ci siamo chiesti – scrive Adamczyk – se fosse possibile mettere a frutto la digitalizzazione per trasformare un conglomerato industriale diversificato in un’azienda realmente integrata.»

Honeywell ha adottato un percorso in tre fasi: ha semplificato e razionalizzato l’infrastruttura, riducendo i sistemi ERP da oltre 150 a 10, le applicazioni da 2.700 a meno di 1.000 e i siti web da 1.700 a meno di 100. In seguito ha creato database principali per prodotti, dipendenti e clienti. Infine ha concepito una strategia per utilizzare quei dati in modo coerente, collegando le diverse aree con processi basati sui dati.

Questo sforzo interno ha aperto la strada a soluzioni rivolte al mercato: integrando hardware e layer di sistemi, Honeywell ha aggiunto una componente SaaS cloud che raccoglie dati e offre analisi. In questo modo ha dato vita a un modello di servizi che valorizza le infrastrutture esistenti, trasformandole in piattaforme capaci di generare insight utili ai clienti.

«In un certo senso, la trasformazione digitale consiste nel saper creare un sistema che catturi e governi i dati, per poi applicarli con efficacia a ciò che si fa – spiega Adamczyk –. Ma perché tutto questo funzioni, è necessario conoscere ogni componente che concorre al funzionamento complessivo.» Il richiamo alla comprensione degli elementi disparati mette in luce la complessità di un processo che non può prescindere da una visione olistica, altrimenti rischia di restare una raccolta di iniziative isolate.

Quando la pandemia si è abbattuta sul retail, Barbara Martin Coppola, chief digital officer di IKEA Retail, era già al lavoro da quasi due anni per ripensare l’offerta del brand. La chiusura dei negozi ha accelerato quel percorso: trasformare un grande rivenditore in un’azienda digitale ha significato riprogettare supply chain, inventari, logistica e delivery, ma anche ridisegnare l’esperienza cliente, sfumando le differenze tra canali online e negozio fisico.

«Questo processo è un po’ come un iceberg – ha raccontato Martin Coppola –. In superficie ci sono bisogni e percorsi d’acquisto, ossia il restyling delle interazioni con il cliente, mentre sotto l’acqua avviene un cambiamento molto più vasto del modello operativo e di business. La parte sommersa è di gran lunga più grande di quella che si vede.» Nella pratica, ciò ha voluto dire introdurre nuove policy sui dati e comunicarle ai consumatori, integrare l’app nell’esperienza di shopping, sperimentare con AR e VR, e fare del dato la base per decisioni continue in tutti i reparti.

Per realizzare tutto questo, Martin Coppola ha dovuto conquistare la fiducia dei collaboratori. «Ho dovuto prima farmi accogliere come membro della comunità interna – ha detto –. I valori di IKEA ruotano attorno a concretezza, umiltà e spirito imprenditoriale; ho dimostrato concretamente di condividerli. Poi ho incontrato team di ogni funzione, presentando una visione stimolante. Infine ho proposto passaggi semplici che chiunque potesse seguire, evitando concetti astratti e concentrandomi su azioni concrete.»

Ne offre riscontro Levi Strauss & Co., dove l’approccio era ancorato a una mentalità «perfezionista»: un’idea veniva pianificata per sei mesi, si concepiva la soluzione ideale, poi si iterava per altri sei mesi prima di lanciarla sul mercato, spiega Harmit Singh, senior vice president e CFO dell’azienda.

Secondo Singh, le trasformazioni digitali non riguardano solo l’arrivo di nuove tecnologie, ma il modo in cui si orienta il personale a pensare in modo agile e digitale, favorendo l’adozione di strumenti inediti per il team e talvolta per l’intero settore. Dall’esperienza di Levi’s sono emerse quattro lezioni condivisibili: accettare che il fallimento sia un passaggio, concentrarsi non tanto sul proprio ritardo quanto su come superare i competitor, affrontare le trasformazioni come un’occasione per raccogliere e usare dati, e concedere tempi adeguati all’apprendimento tecnologico.

Uno degli aspetti più complessi nell’adottare una tecnologia in rapida evoluzione riguarda i rischi che si introducono insieme agli strumenti. Con l’IA, usata in applicazioni molto diverse, restare al passo può sembrare un’impresa senza fine. Grace Yee, senior director di ethical innovation presso Adobe, suggerisce di cambiare prospettiva: occorre valutare il contesto in cui l’IA viene impiegata, comprendendo specifiche circostanze, ambienti e applicazioni nel mondo reale.

Adobe ha fatto propri quattro principi guida: l’intervento umano resta centrale, l’hype non equivale a qualità, l’IA è destinata a mutare ma si possono anticipare le preoccupazioni, e serve un solido framework etico per affrontare le sfide e validare gli algoritmi prima e durante l’uso.

Le imprese nate digitali devono rivedere costantemente i propri riferimenti. Per Intuit, azienda di software finanziario, il problema si manifesta nella rapidità con cui l’attenzione dei clienti si sposta. Con l’IA questo ciclo si accelera ulteriormente, rendendo indispensabile mantenere la trasformazione in uno stato di evoluzione continua.

Intuit ha scelto tre linee guida integrate nel flusso di lavoro: verifiche tecniche periodiche, rigorose e prive di ego; inserimento di esperti IA in ogni team; e trasformazione dei conflitti in un vantaggio competitivo, istituzionalizzando processi chiari di escalation. La cultura interna si concentra sullo sviluppo costante, adattabile alle mutate esigenze dei clienti.

Srivastava evidenzia che queste strategie non sono statiche, bensì adatte ad adeguarsi ai cambiamenti di comportamento dei clienti e a scalare in base alle nuove richieste. Per le migliori pratiche vale la stessa regola del riesame continuo, per controllare che obiettivi e strumenti restino sempre in sintonia con il mercato.