All’inizio, Chewy.com ha scommesso sulla propria logistica: un passo che avrebbe potuto mettere a rischio l’impresa, ma che si è rivelato vincente.

Alla fine del 2013, Ryan Cohen, cofondatore e allora amministratore delegato dell’e-tailer di prodotti per animali Chewy.com, si trovava di fronte a una scelta decisiva per il futuro dell’azienda. Continuare ad affidarsi a un fornitore logistico terzo (3PL) per tutta la gestione degli ordini o internalizzare l’intero processo di evasione? Cohen temeva che il partner esterno non avrebbe retto i ritmi di crescita previsti né garantito i livelli di servizio e qualità imposti internamente. Dall’altra parte, né lui né i soci fondatori avevano esperienza diretta nella logistica, e il consiglio d’amministrazione spingeva a mantenere l’outsourcing. Quale strada scegliere? Jeffrey Rayport, senior lecturer alla Harvard Business School, esplora questo dilemma nel caso Chewy.com (A), affrontando temi di strategia, supply chain, operations e piano di sviluppo.

HANNAH BATES apre HBR On Strategy presentando “case study e conversazioni con i massimi esperti di business management, selezionati per suggerire nuovi approcci operativi.” In un episodio del 2022 registrato per Cold Call, Brian Kenny dialoga con Rayport sul percorso di Ryan Cohen.

Secondo Rayport, il cuore della vicenda è un classico problema degli imprenditori che lavorano con beni fisici: “Quando ha senso esternalizzare aspetti chiave come la logistica e quando invece vale la pena portarli dentro all’azienda?” Il caso propone quattro opzioni:

• Assecondare il board, rallentare la crescita e riorganizzare il rapporto con il 3PL per migliorare l’operatività comune.
• Aggiungere un secondo partner esterno sulla costa occidentale per coprire l’intero territorio nazionale.
• Avviare in parallelo un centro di smistamento interno, provando gradualmente l’in-house senza abbandonare subito il fornitore esterno.
• Sbilanciarsi completamente con una “flash cut”: rompere ogni legame col 3PL e fare subito da sé, con investimenti ingenti e tempistiche strette.

Rayport sottolinea che ciascuna alternativa comporta obiezioni serie, da costi imprevisti a carenze di know-how. L’interesse per Chewy.com nacque a un panel tech di Brooklyn, dove Cohen raccontò di avere inviato cinque milioni di biglietti manoscritti ai clienti: un gesto di “high-touch service” insolito per un e-commerce. Rayport volle verificare come un’interazione così personale potesse scalare in un’operazione su larga scala.

Chiede allora Brian Kenny: “Come si considera Chewy?” Rayport risponde che si tratta di un mercato vicino alla commodity, simile al settore grocery: Amazon e i grandi retailer occupano quote significative, mentre i piccoli negozi indipendenti – 18.000 discount specializzati, 59% a gestione locale – puntano sulla relazione one-to-one. Chewy si definisce dunque erede digitale di quel modello, focalizzato su assistenza personalizzata.

Nel frattempo, la percezione dei consumatori verso gli animali domestici si è evoluta: il comparto pet care valeva 53 miliardi di dollari nel 2013 (oggi supera i 100 miliardi) e la spesa media annua per nucleo era di 522 $. Il fenomeno della “umanizzazione del pet” è accompagnato dalla “premiumizzazione”: mangimi biologici a base di carne di qualità, prodotti veterinari su prescrizione, linee “human-grade”. Un esempio: 15 libbre di mangime Purina Beneful a 11,39 $ (circa 73 cent/lb) contro il cibo K9 Natural freeze-dry a 195,99 $ per 8 libbre (circa 24,50 $/lb). “Prezzi impensabili per l’alimentazione umana, eppure sostenuti dal mercato, con margini più ampi per un business sostenibile.”

Alle origini, Chewy procedeva con una carta acquisti aziendale rinnovata ogni settimana e un fido di 800.000 $, un meccanismo che lasciava l’impresa in costante tensione finanziaria. Un’iniezione da 15 milioni di dollari dal fondo Volition aveva concesso un po’ di respiro, ma il burn-rate restava di mezzo milione al mese, con 7 milioni in cassa per appena 14 mesi di autonomia.

Il partner 3PL in Pennsylvania; pur esperto di e-commerce, non era attrezzato per merci voluminose e fragili: arrivavano pacchi umidi, scatole schiacciate e ingorghi sui nastri. Il contratto prevedeva revisione mensile delle tariffe, il che significava che il fornitore poteva disimpegnarsi o aumentare i prezzi a piacimento, senza fiducia reciproca.

Rayport ha sfidato in aula gli studenti con quelle stesse quattro scelte, chiedendo di valutarne rischi e benefici in una cornice di crescita esponenziale:

• Rallentare e restare col partner attuale.
• Aggiungere un altro 3PL sulla costa opposta.
• Costruire un primo magazzino interno mantenendo vivo il rapporto con il 3PL.
• Scollegarsi di netto e insourcing immediato, accollandosi un investimento superiore ai 10 milioni e costi operativi nel range di alcuni milioni mensili, con 12–18 mesi di avviamento stimati.

Brian Kenny ricorda poi la strategia iniziale di Amazon: mantenere in magazzino solo i titoli più richiesti e far consegnare gli altri direttamente dal distributore Ingram a Seattle, ovviando all’onere di proprietà di milioni di riferimenti.

Quanto all’influenza del consiglio, Rayport chiarisce che i board non sono nemici della crescita, bensì attenti a mettere in sicurezza margini e flussi di cassa prima di spingere a velocità doppia o tripla anno su anno.

Alla fine la squadra di Ryan ottenne l’approvazione per la soluzione più audace: recidere il legame col 3PL e scommettere su una rete proprietaria. Il progetto, avviato nella stessa area della struttura esternalizzata, scatenò la reazione del partner terzo, che triplicò i costi di spedizione sul lieve residuo di volumi in carico. Il trasferimento verso il nuovo centro, ancora in fase di allestimento, richiese sforzi organizzativi e finanziari imponenti, ma Cohen e soci ritenevano che la qualità dell’esperienza cliente – dagli imballaggi curati ai servizi personalizzati ai ritratti su commissione – fosse un pilastro competitivo irrinunciabile.

Il risultato? Una progressione da pochi milioni di fatturato nel 2012 a 73 milioni a fine 2013, segno di un modello di business inedito. Nel 2017 PetSmart ha acquisito Chewy per 3,35 miliardi di dollari, la più grande exit e-commerce statunitense fino ad allora. Il gruppo, gravato da debiti per un LBO, ha poi spinoffato Chewy in un’IPO che ha toccato i 17 miliardi di valutazione, con picchi da 50 miliardi durante il boom pandemico; ancora oggi il titolo si colloca tra 15 e 20 miliardi nonostante la fase di mercato sfavorevole. Una vicenda che dimostra come scommesse rischiose, se sostenute da visione lungimirante, disciplina e una buona dose di tempismo, possano generare un successo duraturo.

Non tutte le sfide aziendali riguardano la logistica. Anche i progetti di intelligenza artificiale richiedono un approccio dedicato. Iavor Bojinov, assistente professore alla Harvard Business School e in passato data scientist per LinkedIn, ha individuato cinque fasi chiave affinché un’iniziativa di AI diventi un prodotto concreto:

• Selezione dei casi d’uso più strategici.
• Sviluppo degli algoritmi e delle architetture.
• Valutazione rigorosa delle performance con metriche adeguate.
• Adozione interna: formazione dei team, governance e gestione del cambiamento.
• Manutenzione continua dei modelli, controllo dei trend ed evoluzione dei dati.

Bojinov ne parla nel suo articolo Keep Your AI Projects on Track.

Quando un prodotto diventa famoso per i suoi clamorosi flop, può trasformarsi in una preziosa lezione. Sean Jacobsohn, partner di Norwest Venture Partners e fondatore del Failure Museum, ripercorre fallimenti iconici – da Harley-Davidson Cologne fino a Cheetos Lip Balm – per individuare sei forze che conducono alla disfatta. Analizzare questi casi aiuta le aziende a evitare gli stessi errori.

Il termine community è spesso abusato in azienda, ma pochi sanno come costruirne una solida. Matt Mullenweg, cofondatore di WordPress e CEO di Automattic, offre indicazioni pratiche:

• Reclutamento basato su “audizioni” anziché CV, per valutare competenze reali ed empatia.
• Coinvolgimento dei clienti attraverso spazi di confronto, feedback e collaborazione.

Secondo Mullenweg, un senso di appartenenza autentico nasce dal valore percepito, dalla partecipazione attiva e dal dialogo trasparente.

Sperimentare è infine una leva a disposizione di tutte le imprese, grandi o piccole. Stefan Thomke, docente alla Harvard Business School e autore di Experimentation Works, mostra come test A/B, prove controllate e un mindset orientato all’errore consapevole possano generare decisioni più solide e innovazione continua, replicando il modello di Google, Booking.com e Netflix in contesti con volumi più contenuti.